Il comico che è dentro il lavoro che è dentro il comico
Carlo
Turati
Lo
scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero
(Aristotele)
Lo
scopo del tempo libero è quello di trovarsi un lavoro migliore
(Tarasso)
Quando
si parla del rapporto tra lavoro (azienda, economia, management,
ecc.) e comicità, le porte che si potrebbero spalancare sono davvero
molte. La più semplice è: la comicità è un lavoro? Una lievemente
più complicata potrebbe essere: il lavoro (l’azienda, l’economia,
il management, ecc.) ha aspetti comici? Una terza suonerebbe più o
meno: si può far ridere parlando di lavoro (azienda, economia,
management, ecc.)? E, banalmente, la risposta a queste tre domande è
una sola: sì. Ma la quarta, quella che davvero è importante,
dovrebbe essere: se sì e sì e sì, perché chi di mestiere si
propone di far ridere la gente non parla tanto spesso del mondo del
lavoro (dell’azienda, dell’economia, del management)? In questo
numero di Ticonzero, avremmo voluto rispondere a queste domande ma
poi ci è sovvenuto che parlare di comicità è una delle cose più
tristi che esistano al mondo. A questo punto abbiamo deciso di
chiedere a un manipolo di autori comici, cabarettisti e attori comici
di scrivere qualcosa pensando al mondo del lavoro. Poi, io ho chiesto
a me stesso di sacrificarmi e di scrivere la parte pallosa della
faccenda. Ma, d’altra parte, a qualcuno doveva pur toccare. Quindi,
se siamo pronti, cominciamo
Nel
suo libro “Il canone della scienza”, Natalie Angier cerca di
spiegare il passaggio dall’infanzia/adolescenza all’adultitudine
come la transizione da un mondo dove ci si eccita facendo casino
durante un esperimento al museo della Scienza e della Tecnica, ad uno
in cui si fa shhhhhhhh al prossimo durante un concerto dei Prodigy
alla Royal Albert Hall: la seriosità. In un qualche modo, la
seriosità ha a che fare con il lavoro: al lavoro si fa spesso
shhhhhh perché la gente quando produce ricchezza deve sempre darsi
un certo tono come a dire: “senti, ciccio, tu stai pure qui a far
frullare i maroni che tanto c’è sempre un somaro che manda avanti
la baracca”. Come dire: ridere e scherzare va bene, ma non mentre
si trasformano ratei in risconti e viceversa. D’altra parte, anche
far ridere la gente è un lavoro, quindi non è raro che partano
degli shhhhhh anche mentre ci si impegna a pensare, creare, scrivere,
realizzare qualcosa con l’obiettivo di far ridere il prossimo.
Anzi, in quei momenti si è molto seri(osi), con molta tensione
addosso e molta paura di fallire. La comicità è un mestiere molto
duro cui ben si applica il motto che Newton coniò per la scienza:
“10% ispirazione, 90% traspirazione”. A mo’ di esempio, Nanny
Loi cita un episodio in cui Alberto Sordi incontra uno sceneggiatore
e gli chiede: “Che stai a ffa?”. “Lavoro. Scrivo un copione”,
gli risponde lo sceneggiatore, “Comico?” domanda Sordi. “No,
drammatico”, dice l’altro. “Allora te stai a riposa’”,
conclude Sordi e se ne va. Insomma, per chi ci sta dentro, è
abbastanza semplice capire che far ridere il prossimo è qualcosa di
molto prossimo alla maledizione divina contro Adamo ed Eva: tu,
imbecille, ti guadagnerai il pane col sudore della fronte; tu,
signorina, partorirai con dolore e tu, comico, farai entrambe le cose
insieme. D’altro canto, si diceva, anche l’economia è fatica. Al
netto delle convention (o di quelle cose in cui il management si
lancia in una botte lungo le rapide del Sesia per cementare il team,
come un gruppo di ultras con dello zucchero filato al posto del
cervello), anche le imprese sono dei luoghi molto seri. E
contemporaneamente strani se è vero, come ha detto qualcuno che “il
cervello è un organo favoloso: comincia a lavorare dal momento in
cui ti svegli alla mattina e non smette fino a quando entri in
ufficio” (e, come ben si sa, senza cervello non si ride, dunque in
ufficio non si ride). Tuttavia, chiunque lavori in un qualunque posto
al mondo (ivi compresi i locali di cabaret, ovviamente) sa
perfettamente che questo non corrisponde al vero. Ogni “ecosistema
di lavoro” è uno splendido palcoscenico dove si applicano con pari
energia sarcasmo e ironia, sia che abbiano funzioni repressive (il
capo che le usa per rimettere i propri collaboratori al loro posto,
via via fino a valicare il confine tra ironia e mobbing),
rivoluzionarie (il mai dimenticato ‘il re è nudo’, il fool
shakespeariano, il buffone di corte, e via discorrendo) o meramente
di costruzione e manutenzione delle regole del sistema sociale. Si
ride, si ride eccome, si fa satira di costume, si costruiscono
scheletri di barzelletta, parodie, sberleffi. Anzi, sono talmente
spessi e frequenti gli spunti che il mondo anglosassone ha saputo
produrre, tra gli altri, Dillbert, Bristow, Murphy; e in Italia
Fracchia, Fantozzi e persino il ragionier Filini.
C’è
da dire che questi esempi sono molto vistosi perchè sono eccezioni
in un mare di regola: chi di mestiere -sul lavoro- cerca di far
ridere (i comici) si tiene ben lontano da chi di mestiere non
dovrebbe ridere sul lavoro (tutti gli altri). Se ci fermiamo in
Italia, i comici che parlano di economia di impresa, di lavoro o di
management sono abbastanza rari. Ogni tanto dal nulla spunta qualcuno
che la prende in modo diretto (mi ricordo Paolo Hendel – CarCarlo
Pravettoni, parodia di C.E.O- a Mai Dire Gol: “e la lira
s’impenna!”), qualcuno esaspera l’italico fancazzismo
(Bruceketta, il postino di Zelig, Ficarra e Picone, Bove e Limardi,
Pino e gli Anticorpi) qualcuno si gusta l’aspetto
evangelico-apocalittico della faccenda (Beppe Grillo), qualcuno la
usa come sfondo (Simonetta Guarino – Leonarda), o –molto più
raramente- la scava dall’interno (Paolo Cevoli, Enrico Bertolino,
Diego Parassole). Poi, è vero, esistono Severgnini, Serra, i grandi
corsivisti e un pochino, nel suo piccolo, Tarasso; ma sono sempre
eccezioni. Certo la difficoltà di comprensione è reciproca: chi
lavora farà anche l’amore ma non ride; per tutti gli altri,
invece, il comico non lavora, ha un hobby, riesce a conciliare fatica
e divertimento e, pur tuttavia, nel suo fancazzismo riesce pure ad
attirare begli esemplari dell’altro sesso, alla faccia di Celentano
e sua moglie (anzi, secondo voci ben informate, con risultati ben
superiori a chi lavora davvero). C’è una vecchia battuta di uso
comune che recita: “Mia mamma si vergogna talmente del fatto che
io faccio il comico che, quando rientro tardi la notte, alle vicine
preferisce dire che batto”. E questa dinamica contorta tra
lavoro e comicità la racconta bene Matteo Monforte, autore: “La
gente non ci capisce. Io non scrivo battute per i comici, io scrivo
“quattro cazzate”. Io non lavoro, io ho un hobby. Io non faccio
ferie, io prolungo solamente il mio periodo fancazzista in una
località di mare. Io, però, misteriosamente -se c’è da pagare al
bar- pago sempre io, perché lavoro in televisione…”.
….e
lo ricordano molti comici che cercano di comunicare al pubblico
che c’è della traspirazione nel loro mestiere, come in questo
classico dei saluti finali, sentito da molti comici:
“Ditemi
dove lavorate che, se domani posso, vengo io a vedervi”
“Se
volete vi faccio il bis, però domani vengo fuori dal vostro ufficio
e quando uscite inizio a gridare ‘Straordinari! Straordinari!!”
O
anche Fabrizio Canciani: “A Milano tutti vogliono sapere
che lavoro fai, è la prima cosa che ti chiedono: «Che lavoro fai?»
«Faccio il cabarettista...» «Ah, bello, allora adesso ti racconto
una barzelletta così poi la ricicli.» «E tu che lavoro fai,
l'idraulico? Aspetta che ti smonto il lavandino così poi lo
rimonti.»”
Insomma,
parrebbe esistere una cronica incomunicabilità tra un mondo che si
vede definito dalla sua serietà e un mondo che cerca di proporsi per
la sua leggerezza. Jerome K. Jerome sintetizza questa incapacità in
uno stringato e velenoso aforisma: “Il lavoro mi piace, mi
affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo”. Per
carità, punti di contatto ce ne sono eccome, come testimonia -ad
esempio- qualche corso che promette di trasferire a manager con la
fregola della simpatia le tecniche del comico, qualche articolo (me
ne ricordo uno di R. Pumilia proprio qui su Ticonzero) e quel paio di
libri in materia (per tutti, Stefano Greco, Umorismo e Management,
Franco Angeli). La verità è che i due mondi sono come vasi
comunicanti: la leggerezza esige rigore e precisione (come ben sa
chiunque pratichi, non dico l’alto acrobatismo comico, ma anche il
semplice parlare in pubblico), tanto quanto la serietà momenti di
distacco, relax, apertura di valvole di sfogo. Ma, a dispetto di ciò,
rimane che lavoro e comicità, se non si guardano in cagnesco,
neppure si sorridono; diciamo che per lo più si ignorano.
La
conseguenza più immediata è che le persone ‘serie’ si
interrogano su quale mente malata possa produrre “cazzate” a
raffica e come mai si possa essere per esse retribuiti; mentre il
comico assai raramente parla del mondo del lavoro. Sfogliando le
varie enciclopedie della battuta (ma, in particolare, quella appena
pubblicata dal Corriere della Sera, a cura di Gino Vignali e Michele
Mozzati), le voci economia, lavoro, impresa e
simili sono poco trafficate e il più delle volte se digitate –che
so- il vocabolo ‘azienda’, rischiate di imbattervi in utilizzi
più simili a questo: “Ieri mia moglie mi fa: “L’utero è
mio e me lo gestisco io”. E io: “Fai come credi, , ma secondo me
la tua azienda in 3 giorni fallisce”
(S.Chiodaroli) che a questo: “Nella mia azienda
il livello di empowement è talmente elevato che la lettera del mio
licenziamento me la sono scritta da sola” (L. Laria). Le
ragioni possono essere diverse ma, a mio parere, la spiegazione più
semplice è che si tende a parlare di ciò che si conosce e chi di
mestiere fa ridere il prossimo ha frequentato le aziende con molta
parsimonia. E, se anche le ha frequentate, spesso lo ha fatto con la
mestizia di chi va a lavorare per potersi mantenere un hobby costoso
(il cabaret) o di chi è stato condannato a qualche tipo di servizio
sociale per aver copiato tutto il repertorio di Alvaro Vitali
(escluse le scorengie con vampata che rimangono uniche e inimitabili)
ed essersi fatto beccare.
E’
un circolo vizioso di ignoranza, diffidenza e paradosso. Se, ad
esempio, chiedete a un comico: “Perché non parli del mondo del
lavoro?”; probabilmente risponderà: “Sì ma, se uno lavora 8 ore
al giorno al tornio, che voglia ha di sentirsi raccontare una
barzelletta sulla fresa?”. D’altra parte, se gli chiedete perché
parla di due di picche, vi risponderà che il due di picche riguarda
tutti e tutti sanno di cosa si sta parlando. Il che non sta in piedi,
da un punto di vista logico: se non mi parli della fresa perché la
fresa è onnipresente nella mia vita, perché cerchi di farmi ridere
parlando di sfiga, povertà e bruttezza in una vita dominata dalla
bruttezza, dalla povertà e dalla sfiga? O ancora, già ho dei casini
a interagire con mio figlio, possibile che mi devi raccontare quanto
cretina era tua madre? Quindi, la verità è altrove: come sempre,
per parlare di qualcosa bisogna conoscerlo e il rapporto tra comici e
mondo del lavoro è, nella maggioranza dei casi, al massimo di
diffidente tangenza. Peggio: la gente seria guarda ai comici come
gente che non conosce il sudore della fronte (bellissima e
perfettamente adattabile questa frase del discesista Khristian
Ghedina: “Svegliarsi alle cinque con il buio per andare a sciare
è dura. Svegliarsi alle cinque con il buio per andare a lavorare è
durissima”) e i comici che pensano che chi lavora sia un
mancato qualsiasi altra cosa: “Fa caldo in fabbrica? Le ore sono
lunghe? Quindici dollari al giorno non bastano? Be', la fuga è molto
semplice. Piantate il lavoro, sputatevi sulle mani e scrivete un
altro best seller” (H.L. Mencken).
Finisce
che il rapporto tra la maggior parte dei comici e l’economia si
riassume nel parlare di soldi secondo il classico schema “sono
talmente ricco/sono talmente povero che…” (“Da
ragazzo ero cosi’ povero che se non avessi avuto il pistolino non
avrei avuto niente con cui giocare”
S. Chiodaroli); o del rapporto con i soldi (alla voce ‘senso
degli affari’ segnalo “Da bambino avevo uno scarso senso degli
affari: quando rompevo il salvadanaio avevo esattamente i soldi per
comprarne un altro”, F. Basso). Ma, se vogliamo spostare
l’attenzione sul lavoro e sul mondo del lavoro, difficilmente il
comico entra in azienda o manipola l’economia. Mediamente,
l’artista considera il lavoro materiale (una specie di
continuum che ha, ad un estremo, spazzacamino e minatore; e
dall’altro chi vive di rendita) come una sorta di massima
espressione di coglionaggine o comunque come un mondo a parte. Uno
degli esempi migliori di questo rapporto travisato è in questa
battuta di Federico Basso: “Stamattina
avevo un colloquio di lavoro. Ho messo l'unico vestito elegante che
ho. Appena arrivato il direttore
del personale mi ha stretto la mano e mi ha fatto fatto le
condoglianze”. Un mondo che,
comunque, la si metta è triste e di cui l’artista
sembra cogliere solo gli aspetti più esteriori, primo tra tutti il
“fancazzismo”, come in questi esempi:
- Consulente: “Quante persone lavorano qui nella sua azienda?”; Manager: “Oh, circa una su dieci!” (Bob Phillips)
- Entra il capo in ufficio: “Vi ho già detto che quando si lavora non si fuma!”; “E chi sta lavorando?”(non mi ricordo da chi l’ho sentita)
- Io sono uno statale e come tutti gli statali lavoro pochissimo. Quando morirò sulla mia lapide scriveranno: “Qui riposa… per la seconda volta” (sentita da almeno tre comici)
- Io ogni volta che vedo un cartello “Stiamo lavorando per voi”, ci scriverei di fianco: “E farti un po’ i cazzi tuoi, invece?(Diego Parassole – Carlo Turati)
O
come nel monumentale esempio del postino foggiano di Zelig,
Bruceketta: “Se al posto dei pompieri ci fossero i postini il
mondo sarebbe ancora una palla di fuoco”),
Quando
da spettatore l’artista si evolve a cliente, la comicità
nasce tipicamente dalla presa visione di disservizi specifici. La
saga di Parassole-Pistolazzi (o l’apocalittismo grilliano) è buona
testimone di questa chiave di lettura. Ad esempio, Pistolazzi
racconta così il suo rapporto con la banca:
- La situazione delle banche in Italia è scandalosa. Vi ricordate Fiorani e la Banca Popolare di Lodi? Quello che se faceva qualche operazione finanziaria sbagliata fregava 20-30 euro sui conti correnti della banca. Lui sbagliava e i soldi li fregava a te. E’ un bel sistema: è come se Briatore tromba Naomi Campbell e rimane incinta tua moglie
- Altro che conto rosa, conto argento conto arancio… a me hanno aperto il non conto un cazzo!
- A un certo punto il funzionario mi fa: “Pistolazzi, la banca è cambiata….lo sportello, quello che lei vede della banca, è soltanto la punta dell’iceberg… e, come lei ben sa, noi dell’iceberg vediamo solo 1 settimo, capito?”. Ho risposto: “Ma pensa te, e io che credevo di averlo preso in quel posto per intero, invece era solo un settimo!”
O
con le compagnie aeree:
- Con la deregulation, prima c’era solo Alitalia, poi è arrivata AirOne, poi Ryan Air, poi poi poi…finirà che fra un po’ ci sarà Air Congo che farà la Milano-Genova a tariffe iper low cost…una cosa tipo fai il check-in, poi arriva il pulmino e si va. Dopo un po’ chiedi: “Scusi, ma l’aereo?”, e la hostess: “No, no: quello è già giù a Genova”
O
con le assicurazioni:
- L’altro giorno vado dall’assicuratore a rinnovare la polizza della mia 126 e l’assicuratore mi fa: “Allora, Pistolazzi per la sua assicurazione sarebbero 1600 euro”. L’ho guardato e gli ho detto: “Ci deve essere un errore: guardi che la macchina ce la metto io!”
Ad
un ulteriore livello, si entra –finalmente- in azienda: il mondo di
Dillbert, Bristow, Murphy e Fantozzi. Anche qui, l’incontro può
avvenire a livelli molto eterogenei. A me piace molto pensare che la
comicità possa, in primo luogo, offrire una lingua franca per
spiegare a tutti l’aziendale, come in questo celeberrimo
accostamento tra marketing e vita:
- Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Ti avvicini
e le dici: "Sono un mago a letto!". Questo è DIRECT MARKETING. - Sei ad una festa con un gruppo di amici e vedi una ragazza molto carina. Uno dei tuoi amici le si avvicina e le dice: "Quel tipo è un mago a letto!". Questo è ADVERTISING.
- Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Ti avvicini e le chiedi il numero di telefono. Il giorno dopo la chiami e le dici: "Sono un mago a letto!". Questo è TELEMARKETING.
- Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. La riconosci, ti avvicini, le rinfreschi la memoria e le dici: "Ti ricordi quanto sono mago a letto?". Questo è CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT.
- Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Ti alzi, tisistemi l'abito, ti avvicini e le versi una coppa di champagne,le apri la porta quando esce, le raccogli la borsa quando le cade,le offri una sigaretta e le dici: "Sono un mago a letto!". Queste sono PUBLIC RELATIONSHIP.
- Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Lei si avvicina e ti dice: "Ho sentito che sei un mago a letto!". Questo è BRANDING... il potere di un marchio.
- Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. lei si avvicina e ti dice: "sei un mago a letto!!!". Questa è CUSTOMER SATISFACTION
O
come in questa spiegazione dell’insider trading da parte di
Maurizio Milani:
“L’insider
trading si configura quando chi ha notizie riservate su una società
ne trae vantaggio speculando. Per esempio, tutte le maestre
elementari sanno che i bambini grandi obesi fanno innamorare dieci
volte di più le bambine rispetto agli altri bambini di peso giusto.
Questi, nel vedere che il bambino grande obeso ha più successo con
le donne, dicono: “Divento anch’io 30 chili fuori peso” e
cominciano un consumo scriteriato di calorie. Se la loro maestra va
in banca e acquista azioni della Kinder Division, fa insider
trading”.
O
come in questo modo di Tarasso di raccontare il just-in-time dal
punto di vista della massaia:
“Da
un po’ di tempo Angelo, il paradiso della frutta e verdura fa il
giastintime. Ieri vado e ci faccio: “El me Enrico ci ha voglia di
porri e patate”. Pronti via, l’Angelo si mette in movimento.
prende va dal suo sub-fornitore di fiducia e gli ordina un chilo di
porri e uno di patate. Siccome anche il sub-fornitore fa il
giastintaime, va nella Valle degli Orti dove il nonno pedofilo della
valle omonima e il Signor DelMonte presidiano con cautela i ritmi di
produzione delle verdure. Ogni tanto l'uomo DelMonte dice sì e,
nell'allegria generale, i contadini ci danno dentro di machete. Il
sub-fornitore ordina un chilo di porri e patate, ma il nonno dice:
"Uè, biundin, per i pomm l'è stagione, ma il porro è il
porro. Ghe n'è minga! Te vorett mes chil di tumat e tri scigul? Se
tel paghet subbit te do anca quater foli de pedersin". Il
subfornitore paga in contanti e prende il tutto. Strada facendo,
incontra un concorrente dell'Angelo che lo implora, dichiarandosi
disposto a pagare i porri tre volte il prezzo di mercato. Commosso il
subfornitore gli cede mezzo chilo dei porri. Consegna il resto
all'Angelo che, a sua volta, riceve la visita implorante della Gina
che, si sa, pagando in natura batte il contante (diciamo che batte e
morta lì). La Gina compra mezzo chilo di porri e tutte le patate.
Quando arrivo io, l'Angelo mi rifila i pomodori e il prezzemolo, più
tre pomodorini sardi che la Gina aveva ordinato ma si è dimenticata
di comperare. Allora io la sera preparo una bella insalatona per il
mio Enrico. Quando si siede e la vede, mi dice: "Ma io volevo
una minestra di...", "Taci che ho sentito il Professor
Collibucchi al Dipartimento Scuola Educazione, che i porri fanno
venire i funghi". "E le patate?" fa l'Enrico. "Beh,
le patate fan venire i porri".”
Gli
aforismi murphyani di Artur Bloch (“Il lavoro di équipe è
essenziale. Ti permette di dare la colpa a qualcun altro”)
costituiscono un secondo punto di incontro. Sono forse il modo più
diretto di applicare la chiave di lettura del comico al mondo del
lavoro, un mix di capacità di ribaltamento, esagerazinoe e di “re
è nudo”. Per capirci:
Ribaltamento
- “Un impiegato va dal principale per chiedere un aumento, dicendogli: «Io qui faccio il lavoro di tre uomini!». E il capo replica: «Dammi il nome degli altri due. Li licenzio!»” (Milton Berle);
- Ufficio di collocamento:“Ho un disperato bisogno di lavoro: ho 12 figli!”. “Bene, e oltre a questo cosa sa fare?”
Esagerazione
- “Bisogna che il manager di domani si adatti alle più diverse condizioni dettate dal mercato, che sappia fare un po' di tutto. Ora mi scusi, ma devo far partorire una vacca in sala riunioni” (Walter Fontana, (autore storico del gruppo Gialappa’s e copy pubblicitario, per capire il tipo dare un’occhiata a http://it.wikiquote.org/wiki/Walter_Fontana e alla saga di CarCarlo Pravettoni, una mente che per brillantezza il N.Y. Street Journal paragona a una betoniera!)
- AT&T ha licenziato quarantamila impiegati questa settimana. Un portavoce di AT&T ha dichiarato: «Conoscete nessuno che abbia bisogno di un buon portavoce?» (Norm MacDonald)
Il
re è nudo
- “Vengo da un ambiente dove, se si vede un serpente, lo si uccide. Alla General Motors, se vedi un serpente, per prima cosa assumi un consulente sui serpenti”. (H. Ross Perot)
- Il marketing è l'apostrofo rosa tra le parole "Quant'è?". (Walter Fontana)
- “Ultimamente ho scelto la qualità della vita: lavoro part time... mezza giornata. Cioè dodici ore lavoro e dodici faccio il cazzo che voglio” (Diego Parassole)
Infine,
si entra nella descrizione del rapporto vero tra persona/comico e
azienda. Uno dei personaggi che forse ha lavorato di più è
stato Erminio Pistolazzi-Diego Parassole. Questo è un suo dialogo
con il direttore del personale:
Ieri
il mio capo mi ha detto: "Parasole, lei é
esuberante".
Io
gli ho risposto "Lo so, é questione di carattere".
"No
guardi, non ci siamo capiti. Immagini che la ditta stia facendo una
cura dimagrante....bene lei qui é la cellulite".
Gli
ho risposto: "Perché non provate con le alghe?". Ma non
perché volessi fare lo spiritoso, solo che un conto è essere
licenziati, un conto é essere messi in liposuzione.
E
sua è quest’altra riflessione sulla mobilità:
Mi
sono detto: “Ma non sarebbe bello che il mondo del lavoro
funzionasse come il calcio. Per dire, leggere sulla Gazzetta:
“Pistolazzi lascia l’Alfa Romeo: Sì, ho bisogno di nuove
motivazioni, vado a giocare alla Rolls Royce”.
Mi
fermo qui, perché all’inizio volevo solo dire la mia sul tema e
alla fine sono arrivato a 5 cartelle in word. Vorrei solo concludere
dicendo che ho citato alcuni (Parassole, Milani, Fontana) e
trascurato altri che hanno saputo fare ironia sui meccanismi
aziendali in modo diretto, diciamo dall’interno. (Enrico Bertolino
-formatore ed ex-bancario-, Paolino Cevoli -consulente, da vedere il
suo sito http://www.thebisness.com/-, Antonio Cornacchione -c’è
altro oltre a Povero Silvio-) Ma rimangono pur sempre eccezioni in un
oceano di regola. Ed è per questo che, tra tutto quello che è stato
scritto in materia, io continuo a votare la battuta di uno che in
azienda non ci ha davvero mai messo piede: “Anche se il tuo capo
è una merda, calpestarlo non ti porterà fortuna” (Cesare
Vodani).
Carlo
Turati, ex docente universitario, fa finta di essere autore dal 1982,
ma lo pagano da molto meno tempo.