Il comico come lavoro


  1. Il comico che è dentro il lavoro che è dentro il comico


Carlo Turati
Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero
(Aristotele)
Lo scopo del tempo libero è quello di trovarsi un lavoro migliore
(Tarasso)

Quando si parla del rapporto tra lavoro (azienda, economia, management, ecc.) e comicità, le porte che si potrebbero spalancare sono davvero molte. La più semplice è: la comicità è un lavoro? Una lievemente più complicata potrebbe essere: il lavoro (l’azienda, l’economia, il management, ecc.) ha aspetti comici? Una terza suonerebbe più o meno: si può far ridere parlando di lavoro (azienda, economia, management, ecc.)? E, banalmente, la risposta a queste tre domande è una sola: sì. Ma la quarta, quella che davvero è importante, dovrebbe essere: se sì e sì e sì, perché chi di mestiere si propone di far ridere la gente non parla tanto spesso del mondo del lavoro (dell’azienda, dell’economia, del management)? In questo numero di Ticonzero, avremmo voluto rispondere a queste domande ma poi ci è sovvenuto che parlare di comicità è una delle cose più tristi che esistano al mondo. A questo punto abbiamo deciso di chiedere a un manipolo di autori comici, cabarettisti e attori comici di scrivere qualcosa pensando al mondo del lavoro. Poi, io ho chiesto a me stesso di sacrificarmi e di scrivere la parte pallosa della faccenda. Ma, d’altra parte, a qualcuno doveva pur toccare. Quindi, se siamo pronti, cominciamo

Nel suo libro “Il canone della scienza”, Natalie Angier cerca di spiegare il passaggio dall’infanzia/adolescenza all’adultitudine come la transizione da un mondo dove ci si eccita facendo casino durante un esperimento al museo della Scienza e della Tecnica, ad uno in cui si fa shhhhhhhh al prossimo durante un concerto dei Prodigy alla Royal Albert Hall: la seriosità. In un qualche modo, la seriosità ha a che fare con il lavoro: al lavoro si fa spesso shhhhhh perché la gente quando produce ricchezza deve sempre darsi un certo tono come a dire: “senti, ciccio, tu stai pure qui a far frullare i maroni che tanto c’è sempre un somaro che manda avanti la baracca”. Come dire: ridere e scherzare va bene, ma non mentre si trasformano ratei in risconti e viceversa. D’altra parte, anche far ridere la gente è un lavoro, quindi non è raro che partano degli shhhhhh anche mentre ci si impegna a pensare, creare, scrivere, realizzare qualcosa con l’obiettivo di far ridere il prossimo. Anzi, in quei momenti si è molto seri(osi), con molta tensione addosso e molta paura di fallire. La comicità è un mestiere molto duro cui ben si applica il motto che Newton coniò per la scienza: “10% ispirazione, 90% traspirazione”. A mo’ di esempio, Nanny Loi cita un episodio in cui Alberto Sordi incontra uno sceneggiatore e gli chiede: “Che stai a ffa?”. “Lavoro. Scrivo un copione”, gli risponde lo sceneggiatore, “Comico?” domanda Sordi. “No, drammatico”, dice l’altro. “Allora te stai a riposa’”, conclude Sordi e se ne va. Insomma, per chi ci sta dentro, è abbastanza semplice capire che far ridere il prossimo è qualcosa di molto prossimo alla maledizione divina contro Adamo ed Eva: tu, imbecille, ti guadagnerai il pane col sudore della fronte; tu, signorina, partorirai con dolore e tu, comico, farai entrambe le cose insieme. D’altro canto, si diceva, anche l’economia è fatica. Al netto delle convention (o di quelle cose in cui il management si lancia in una botte lungo le rapide del Sesia per cementare il team, come un gruppo di ultras con dello zucchero filato al posto del cervello), anche le imprese sono dei luoghi molto seri. E contemporaneamente strani se è vero, come ha detto qualcuno che “il cervello è un organo favoloso: comincia a lavorare dal momento in cui ti svegli alla mattina e non smette fino a quando entri in ufficio” (e, come ben si sa, senza cervello non si ride, dunque in ufficio non si ride). Tuttavia, chiunque lavori in un qualunque posto al mondo (ivi compresi i locali di cabaret, ovviamente) sa perfettamente che questo non corrisponde al vero. Ogni “ecosistema di lavoro” è uno splendido palcoscenico dove si applicano con pari energia sarcasmo e ironia, sia che abbiano funzioni repressive (il capo che le usa per rimettere i propri collaboratori al loro posto, via via fino a valicare il confine tra ironia e mobbing), rivoluzionarie (il mai dimenticato ‘il re è nudo’, il fool shakespeariano, il buffone di corte, e via discorrendo) o meramente di costruzione e manutenzione delle regole del sistema sociale. Si ride, si ride eccome, si fa satira di costume, si costruiscono scheletri di barzelletta, parodie, sberleffi. Anzi, sono talmente spessi e frequenti gli spunti che il mondo anglosassone ha saputo produrre, tra gli altri, Dillbert, Bristow, Murphy; e in Italia Fracchia, Fantozzi e persino il ragionier Filini.

C’è da dire che questi esempi sono molto vistosi perchè sono eccezioni in un mare di regola: chi di mestiere -sul lavoro- cerca di far ridere (i comici) si tiene ben lontano da chi di mestiere non dovrebbe ridere sul lavoro (tutti gli altri). Se ci fermiamo in Italia, i comici che parlano di economia di impresa, di lavoro o di management sono abbastanza rari. Ogni tanto dal nulla spunta qualcuno che la prende in modo diretto (mi ricordo Paolo Hendel – CarCarlo Pravettoni, parodia di C.E.O- a Mai Dire Gol: “e la lira s’impenna!”), qualcuno esaspera l’italico fancazzismo (Bruceketta, il postino di Zelig, Ficarra e Picone, Bove e Limardi, Pino e gli Anticorpi) qualcuno si gusta l’aspetto evangelico-apocalittico della faccenda (Beppe Grillo), qualcuno la usa come sfondo (Simonetta Guarino – Leonarda), o –molto più raramente- la scava dall’interno (Paolo Cevoli, Enrico Bertolino, Diego Parassole). Poi, è vero, esistono Severgnini, Serra, i grandi corsivisti e un pochino, nel suo piccolo, Tarasso; ma sono sempre eccezioni. Certo la difficoltà di comprensione è reciproca: chi lavora farà anche l’amore ma non ride; per tutti gli altri, invece, il comico non lavora, ha un hobby, riesce a conciliare fatica e divertimento e, pur tuttavia, nel suo fancazzismo riesce pure ad attirare begli esemplari dell’altro sesso, alla faccia di Celentano e sua moglie (anzi, secondo voci ben informate, con risultati ben superiori a chi lavora davvero). C’è una vecchia battuta di uso comune che recita: “Mia mamma si vergogna talmente del fatto che io faccio il comico che, quando rientro tardi la notte, alle vicine preferisce dire che batto”. E questa dinamica contorta tra lavoro e comicità la racconta bene Matteo Monforte, autore: La gente non ci capisce. Io non scrivo battute per i comici, io scrivo “quattro cazzate”. Io non lavoro, io ho un hobby. Io non faccio ferie, io prolungo solamente il mio periodo fancazzista in una località di mare. Io, però, misteriosamente -se c’è da pagare al bar- pago sempre io, perché lavoro in televisione…”.

.e lo ricordano molti comici che cercano di comunicare al pubblico che c’è della traspirazione nel loro mestiere, come in questo classico dei saluti finali, sentito da molti comici:

Ditemi dove lavorate che, se domani posso, vengo io a vedervi”
Se volete vi faccio il bis, però domani vengo fuori dal vostro ufficio e quando uscite inizio a gridare ‘Straordinari! Straordinari!!”

O anche Fabrizio Canciani: A Milano tutti vogliono sapere che lavoro fai, è la prima cosa che ti chiedono: «Che lavoro fai?» «Faccio il cabarettista...» «Ah, bello, allora adesso ti racconto una barzelletta così poi la ricicli.» «E tu che lavoro fai, l'idraulico? Aspetta che ti smonto il lavandino così poi lo rimonti.»”

Insomma, parrebbe esistere una cronica incomunicabilità tra un mondo che si vede definito dalla sua serietà e un mondo che cerca di proporsi per la sua leggerezza. Jerome K. Jerome sintetizza questa incapacità in uno stringato e velenoso aforisma: “Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo”. Per carità, punti di contatto ce ne sono eccome, come testimonia -ad esempio- qualche corso che promette di trasferire a manager con la fregola della simpatia le tecniche del comico, qualche articolo (me ne ricordo uno di R. Pumilia proprio qui su Ticonzero) e quel paio di libri in materia (per tutti, Stefano Greco, Umorismo e Management, Franco Angeli). La verità è che i due mondi sono come vasi comunicanti: la leggerezza esige rigore e precisione (come ben sa chiunque pratichi, non dico l’alto acrobatismo comico, ma anche il semplice parlare in pubblico), tanto quanto la serietà momenti di distacco, relax, apertura di valvole di sfogo. Ma, a dispetto di ciò, rimane che lavoro e comicità, se non si guardano in cagnesco, neppure si sorridono; diciamo che per lo più si ignorano.

La conseguenza più immediata è che le persone ‘serie’ si interrogano su quale mente malata possa produrre “cazzate” a raffica e come mai si possa essere per esse retribuiti; mentre il comico assai raramente parla del mondo del lavoro. Sfogliando le varie enciclopedie della battuta (ma, in particolare, quella appena pubblicata dal Corriere della Sera, a cura di Gino Vignali e Michele Mozzati), le voci economia, lavoro, impresa e simili sono poco trafficate e il più delle volte se digitate –che so- il vocabolo ‘azienda’, rischiate di imbattervi in utilizzi più simili a questo: “Ieri mia moglie mi fa: “L’utero è mio e me lo gestisco io”. E io: “Fai come credi, , ma secondo me la tua azienda in 3 giorni fallisce” (S.Chiodaroli) che a questo: “Nella mia azienda il livello di empowement è talmente elevato che la lettera del mio licenziamento me la sono scritta da sola” (L. Laria). Le ragioni possono essere diverse ma, a mio parere, la spiegazione più semplice è che si tende a parlare di ciò che si conosce e chi di mestiere fa ridere il prossimo ha frequentato le aziende con molta parsimonia. E, se anche le ha frequentate, spesso lo ha fatto con la mestizia di chi va a lavorare per potersi mantenere un hobby costoso (il cabaret) o di chi è stato condannato a qualche tipo di servizio sociale per aver copiato tutto il repertorio di Alvaro Vitali (escluse le scorengie con vampata che rimangono uniche e inimitabili) ed essersi fatto beccare.

E’ un circolo vizioso di ignoranza, diffidenza e paradosso. Se, ad esempio, chiedete a un comico: “Perché non parli del mondo del lavoro?”; probabilmente risponderà: “Sì ma, se uno lavora 8 ore al giorno al tornio, che voglia ha di sentirsi raccontare una barzelletta sulla fresa?”. D’altra parte, se gli chiedete perché parla di due di picche, vi risponderà che il due di picche riguarda tutti e tutti sanno di cosa si sta parlando. Il che non sta in piedi, da un punto di vista logico: se non mi parli della fresa perché la fresa è onnipresente nella mia vita, perché cerchi di farmi ridere parlando di sfiga, povertà e bruttezza in una vita dominata dalla bruttezza, dalla povertà e dalla sfiga? O ancora, già ho dei casini a interagire con mio figlio, possibile che mi devi raccontare quanto cretina era tua madre? Quindi, la verità è altrove: come sempre, per parlare di qualcosa bisogna conoscerlo e il rapporto tra comici e mondo del lavoro è, nella maggioranza dei casi, al massimo di diffidente tangenza. Peggio: la gente seria guarda ai comici come gente che non conosce il sudore della fronte (bellissima e perfettamente adattabile questa frase del discesista Khristian Ghedina: “Svegliarsi alle cinque con il buio per andare a sciare è dura. Svegliarsi alle cinque con il buio per andare a lavorare è durissima”) e i comici che pensano che chi lavora sia un mancato qualsiasi altra cosa: “Fa caldo in fabbrica? Le ore sono lunghe? Quindici dollari al giorno non bastano? Be', la fuga è molto semplice. Piantate il lavoro, sputatevi sulle mani e scrivete un altro best seller” (H.L. Mencken).

Finisce che il rapporto tra la maggior parte dei comici e l’economia si riassume nel parlare di soldi secondo il classico schema “sono talmente ricco/sono talmente povero che…” (“Da ragazzo ero cosi’ povero che se non avessi avuto il pistolino non avrei avuto niente con cui giocare” S. Chiodaroli); o del rapporto con i soldi (alla voce ‘senso degli affari’ segnalo “Da bambino avevo uno scarso senso degli affari: quando rompevo il salvadanaio avevo esattamente i soldi per comprarne un altro”, F. Basso). Ma, se vogliamo spostare l’attenzione sul lavoro e sul mondo del lavoro, difficilmente il comico entra in azienda o manipola l’economia. Mediamente, l’artista considera il lavoro materiale (una specie di continuum che ha, ad un estremo, spazzacamino e minatore; e dall’altro chi vive di rendita) come una sorta di massima espressione di coglionaggine o comunque come un mondo a parte. Uno degli esempi migliori di questo rapporto travisato è in questa battuta di Federico Basso: “Stamattina avevo un colloquio di lavoro. Ho messo l'unico vestito elegante che ho. Appena arrivato il direttore del personale mi ha stretto la mano e mi ha fatto fatto le condoglianze”. Un mondo che, comunque, la si metta è triste e di cui l’artista sembra cogliere solo gli aspetti più esteriori, primo tra tutti il “fancazzismo”, come in questi esempi:
  • Consulente: “Quante persone lavorano qui nella sua azienda?”; Manager: “Oh, circa una su dieci!” (Bob Phillips)
  • Entra il capo in ufficio: “Vi ho già detto che quando si lavora non si fuma!”; “E chi sta lavorando?”(non mi ricordo da chi l’ho sentita)
  • Io sono uno statale e come tutti gli statali lavoro pochissimo. Quando morirò sulla mia lapide scriveranno: “Qui riposa… per la seconda volta” (sentita da almeno tre comici)
  • Io ogni volta che vedo un cartello “Stiamo lavorando per voi”, ci scriverei di fianco: “E farti un po’ i cazzi tuoi, invece?(Diego Parassole – Carlo Turati)

O come nel monumentale esempio del postino foggiano di Zelig, Bruceketta: “Se al posto dei pompieri ci fossero i postini il mondo sarebbe ancora una palla di fuoco”),

Quando da spettatore l’artista si evolve a cliente, la comicità nasce tipicamente dalla presa visione di disservizi specifici. La saga di Parassole-Pistolazzi (o l’apocalittismo grilliano) è buona testimone di questa chiave di lettura. Ad esempio, Pistolazzi racconta così il suo rapporto con la banca:
  • La situazione delle banche in Italia è scandalosa. Vi ricordate Fiorani e la Banca Popolare di Lodi? Quello che se faceva qualche operazione finanziaria sbagliata fregava 20-30 euro sui conti correnti della banca. Lui sbagliava e i soldi li fregava a te. E’ un bel sistema: è come se Briatore tromba Naomi Campbell e rimane incinta tua moglie
  • Altro che conto rosa, conto argento conto arancio… a me hanno aperto il non conto un cazzo!
  • A un certo punto il funzionario mi fa: “Pistolazzi, la banca è cambiata….lo sportello, quello che lei vede della banca, è soltanto la punta dell’iceberg… e, come lei ben sa, noi dell’iceberg vediamo solo 1 settimo, capito?”. Ho risposto: “Ma pensa te, e io che credevo di averlo preso in quel posto per intero, invece era solo un settimo!”
O con le compagnie aeree:
  • Con la deregulation, prima c’era solo Alitalia, poi è arrivata AirOne, poi Ryan Air, poi poi poi…finirà che fra un po’ ci sarà Air Congo che farà la Milano-Genova a tariffe iper low cost…una cosa tipo fai il check-in, poi arriva il pulmino e si va. Dopo un po’ chiedi: “Scusi, ma l’aereo?”, e la hostess: “No, no: quello è già giù a Genova”
O con le assicurazioni:
  • L’altro giorno vado dall’assicuratore a rinnovare la polizza della mia 126 e l’assicuratore mi fa: “Allora, Pistolazzi per la sua assicurazione sarebbero 1600 euro”. L’ho guardato e gli ho detto: “Ci deve essere un errore: guardi che la macchina ce la metto io!”

Ad un ulteriore livello, si entra –finalmente- in azienda: il mondo di Dillbert, Bristow, Murphy e Fantozzi. Anche qui, l’incontro può avvenire a livelli molto eterogenei. A me piace molto pensare che la comicità possa, in primo luogo, offrire una lingua franca per spiegare a tutti l’aziendale, come in questo celeberrimo accostamento tra marketing e vita:
  • Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Ti avvicini
    e le dici: "Sono un mago a letto!". Questo è DIRECT MARKETING.
  • Sei ad una festa con un gruppo di amici e vedi una ragazza molto carina. Uno dei tuoi amici le si avvicina e le dice: "Quel tipo è un mago a letto!". Questo è ADVERTISING.
  • Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Ti avvicini e le chiedi il numero di telefono. Il giorno dopo la chiami e le dici: "Sono un mago a letto!". Questo è TELEMARKETING.
  • Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. La riconosci, ti avvicini, le rinfreschi la memoria e le dici: "Ti ricordi quanto sono mago a letto?". Questo è CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT.
  • Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Ti alzi, tisistemi l'abito, ti avvicini e le versi una coppa di champagne,le apri la porta quando esce, le raccogli la borsa quando le cade,le offri una sigaretta e le dici: "Sono un mago a letto!". Queste sono PUBLIC RELATIONSHIP.
  • Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. Lei si avvicina e ti dice: "Ho sentito che sei un mago a letto!". Questo è BRANDING... il potere di un marchio.
  • Sei ad una festa e vedi una ragazza molto carina. lei si avvicina e ti dice: "sei un mago a letto!!!". Questa è CUSTOMER SATISFACTION
O come in questa spiegazione dell’insider trading da parte di Maurizio Milani:
L’insider trading si configura quando chi ha notizie riservate su una società ne trae vantaggio speculando. Per esempio, tutte le maestre elementari sanno che i bambini grandi obesi fanno innamorare dieci volte di più le bambine rispetto agli altri bambini di peso giusto. Questi, nel vedere che il bambino grande obeso ha più successo con le donne, dicono: “Divento anch’io 30 chili fuori peso” e cominciano un consumo scriteriato di calorie. Se la loro maestra va in banca e acquista azioni della Kinder Division, fa insider trading”.

O come in questo modo di Tarasso di raccontare il just-in-time dal punto di vista della massaia:

Da un po’ di tempo Angelo, il paradiso della frutta e verdura fa il giastintime. Ieri vado e ci faccio: “El me Enrico ci ha voglia di porri e patate”. Pronti via, l’Angelo si mette in movimento. prende va dal suo sub-fornitore di fiducia e gli ordina un chilo di porri e uno di patate. Siccome anche il sub-fornitore fa il giastintaime, va nella Valle degli Orti dove il nonno pedofilo della valle omonima e il Signor DelMonte presidiano con cautela i ritmi di produzione delle verdure. Ogni tanto l'uomo DelMonte dice sì e, nell'allegria generale, i contadini ci danno dentro di machete. Il sub-fornitore ordina un chilo di porri e patate, ma il nonno dice: "Uè, biundin, per i pomm l'è stagione, ma il porro è il porro. Ghe n'è minga! Te vorett mes chil di tumat e tri scigul? Se tel paghet subbit te do anca quater foli de pedersin". Il subfornitore paga in contanti e prende il tutto. Strada facendo, incontra un concorrente dell'Angelo che lo implora, dichiarandosi disposto a pagare i porri tre volte il prezzo di mercato. Commosso il subfornitore gli cede mezzo chilo dei porri. Consegna il resto all'Angelo che, a sua volta, riceve la visita implorante della Gina che, si sa, pagando in natura batte il contante (diciamo che batte e morta lì). La Gina compra mezzo chilo di porri e tutte le patate. Quando arrivo io, l'Angelo mi rifila i pomodori e il prezzemolo, più tre pomodorini sardi che la Gina aveva ordinato ma si è dimenticata di comperare. Allora io la sera preparo una bella insalatona per il mio Enrico. Quando si siede e la vede, mi dice: "Ma io volevo una minestra di...", "Taci che ho sentito il Professor Collibucchi al Dipartimento Scuola Educazione, che i porri fanno venire i funghi". "E le patate?" fa l'Enrico. "Beh, le patate fan venire i porri".”

Gli aforismi murphyani di Artur Bloch (“Il lavoro di équipe è essenziale. Ti permette di dare la colpa a qualcun altro”) costituiscono un secondo punto di incontro. Sono forse il modo più diretto di applicare la chiave di lettura del comico al mondo del lavoro, un mix di capacità di ribaltamento, esagerazinoe e di “re è nudo”. Per capirci:

Ribaltamento

  • Un impiegato va dal principale per chiedere un aumento, dicendogli: «Io qui faccio il lavoro di tre uomini!». E il capo replica: «Dammi il nome degli altri due. Li licenzio!»” (Milton Berle);
  • Ufficio di collocamento:“Ho un disperato bisogno di lavoro: ho 12 figli!”. “Bene, e oltre a questo cosa sa fare?”

Esagerazione
  • Bisogna che il manager di domani si adatti alle più diverse condizioni dettate dal mercato, che sappia fare un po' di tutto. Ora mi scusi, ma devo far partorire una vacca in sala riunioni” (Walter Fontana, (autore storico del gruppo Gialappa’s e copy pubblicitario, per capire il tipo dare un’occhiata a http://it.wikiquote.org/wiki/Walter_Fontana e alla saga di CarCarlo Pravettoni, una mente che per brillantezza il N.Y. Street Journal paragona a una betoniera!)
  • AT&T ha licenziato quarantamila impiegati questa settimana. Un portavoce di AT&T ha dichiarato: «Conoscete nessuno che abbia bisogno di un buon portavoce?» (Norm MacDonald)

Il re è nudo

  • Vengo da un ambiente dove, se si vede un serpente, lo si uccide. Alla General Motors, se vedi un serpente, per prima cosa assumi un consulente sui serpenti”. (H. Ross Perot)
  • Il marketing è l'apostrofo rosa tra le parole "Quant'è?". (Walter Fontana)
  • Ultimamente ho scelto la qualità della vita: lavoro part time... mezza giornata. Cioè dodici ore lavoro e dodici faccio il cazzo che voglio” (Diego Parassole)

Infine, si entra nella descrizione del rapporto vero tra persona/comico e azienda. Uno dei personaggi che forse ha lavorato di più è stato Erminio Pistolazzi-Diego Parassole. Questo è un suo dialogo con il direttore del personale:
Ieri il mio capo mi ha detto: "Parasole, lei é esuberante".
Io gli ho risposto "Lo so, é questione di carattere".
"No guardi, non ci siamo capiti. Immagini che la ditta stia facendo una cura dimagrante....bene lei qui é la cellulite".
Gli ho risposto: "Perché non provate con le alghe?". Ma non perché volessi fare lo spiritoso, solo che un conto è essere licenziati, un conto é essere messi in liposuzione.

E sua è quest’altra riflessione sulla mobilità:
Mi sono detto: “Ma non sarebbe bello che il mondo del lavoro funzionasse come il calcio. Per dire, leggere sulla Gazzetta: “Pistolazzi lascia l’Alfa Romeo: Sì, ho bisogno di nuove motivazioni, vado a giocare alla Rolls Royce”.

Mi fermo qui, perché all’inizio volevo solo dire la mia sul tema e alla fine sono arrivato a 5 cartelle in word. Vorrei solo concludere dicendo che ho citato alcuni (Parassole, Milani, Fontana) e trascurato altri che hanno saputo fare ironia sui meccanismi aziendali in modo diretto, diciamo dall’interno. (Enrico Bertolino -formatore ed ex-bancario-, Paolino Cevoli -consulente, da vedere il suo sito http://www.thebisness.com/-, Antonio Cornacchione -c’è altro oltre a Povero Silvio-) Ma rimangono pur sempre eccezioni in un oceano di regola. Ed è per questo che, tra tutto quello che è stato scritto in materia, io continuo a votare la battuta di uno che in azienda non ci ha davvero mai messo piede: “Anche se il tuo capo è una merda, calpestarlo non ti porterà fortuna” (Cesare Vodani).

Carlo Turati, ex docente universitario, fa finta di essere autore dal 1982, ma lo pagano da molto meno tempo.