L’arte di fingere un mestiere che, in fondo in fondo, c’è
“Dietro a ogni cretino che vuole fare ridere, c'è sempre un
imbecille che lo incoraggia”
(Tarasso)
Due mestieri per farne un solo: dall'arte alla catena di produzione
“By
joke, we mean a relatively short text which, for a given cultural
group, is recognizable as having, as its primary purpose, the
production of an amused reaction in its reader/hearer, and which is
typically repeatable in wide range of contexts.”
(Ritchie,
2004)
"Dissecting
humor is like dissecting a frog. They both die in the process."
(E.B. White)
Faccio
l'autore da circa 30 anni. Una volta facevo anche il professore
universitario: insegnavo Organizzazione Aziendale, poi ho dato le
dimissioni. Se devo dire la mia, è stata una mezza coglionata e una
mezza prova di orgoglio. Siccome con l’orgoglio non ci si fanno i
panini, mi rimane l’impressione di un mezzo scroto appeso al muro a
ricordarmi che non ho più una pensione, non ho più uno stipendio
fisso, non ho più un’assistenza sanitaria da dipendente pubblico e
non posso più viaggiare a scrocco. Adesso mi guadagno da vivere
scrivendo stupidate e, anche se la cosa può sembrare strana, è un
lavoro. Del quale, ogni tanto, mi capita di parlare in qualità del
mio vecchio lavoro di professore. A furia di parlarne, ho scoperto
che il vecchio aforisma “il 10% è ispirazione, il 90% è
traspirazione”, si applica perfettamente anche al mio nuovo campo.
A dire il vero, la maggior parte di quelli che fanno il mio lavoro
sostengono che sia qualcosa di molto simile ad un'arte. Pochi sono
propensi ad accettare che scrivere battute possa essere un'attività
strutturata: è un'abilità innata, figlia non di tecnica ma di un
non meglio precisato senso dell'umorismo. Insomma, anche senza
volerlo sono un artista, posso anche accettarlo e mi lusinga, ma
rammento anche che arte è parola antica che nel tempo ha cambiato
declinazione dal poco nobile 'ordinare' in sanscrito (are) alla
sublimazione dei tagli di Fontana, dei sacchi inceneriti da Burri,
dei canyon impacchettati di Hristo. Ma per farlo, è passata
attraverso alla greca tèchne, la capacità umana di fare un
qualsiasi oggetto, combinazione di maestria e di conoscenza delle
regole, fino ad arrivare al latino 'Ars', vera radice della nostra
'arte', indicante in primis metodo pratico o tecnica, pur se tuttavia
unito ad una connotazione estetica, a prescindere dall'oggetto del
contendere. Questo mi piace. Mi piace, in particolare, perchè è una
storia che ho già sentito quando facevo il mio vecchio lavoro; una
storia che dice: non esiste nulla che non si possa analizzare,
smontare e rimontare. A quel punto mi sono detto: perché non
prendere a prestito un concetto antico e adattarlo alla realtà che
conosco e che rappresenta la mia attuale fonte di reddito. Ne è nato
un ossimoro che ho battezzato ‘ingegneria creativa’, in
omaggio a colui che da sempre reputo dio quando si parla di lavoro,
organizzazione e management: Frederick Winslow Taylor.
Qual è
l'idea di fondo di F.W. Taylor? Be' diciamo che le idee sono due.
Prima
idea: un'attività, qualunque attività, è scomponibile fino ad un
nucleo atomico (dal greco a-tomos = indivisibile).
Seconda
idea, posto che ogni attività è scomponibile (dunque è possibile
praticare su ogni attività processi di reverse engineering);
ogni attività è -in un qualche modo- proceduralizzabile e
standardizzabile.
Detta
altrimenti, per per ogni attività è possibile identificare
-attraverso l'osservazione e con scientificità di metodo- tecniche,
modalità di esecuzione più o meno ottimali, procedure, trucchi,
ecc. Ovvio che questo ha molto più senso per attività di routine
(in fondo, Taylor guardava alle fabbriche di fine '800) e molto meno
per le attività con molte eccezioni. Tuttavia, l'approccio e il
metodo possono essere applicati a ogni professione, isolando i
mattoncini procedurali e tecnici che permettono di ottenere un
risultato.
Per
capire di cosa stiamo parlando, provate a rispondere a questa
semplice domanda: da dove vengono le battute? Qualcuno dice che sono
nell'aria, qualcun altro -praticamente tutti- che cose divertenti ci
capitano intorno in continuazione, in modo naturale. Basta davvero
poco per farci ridere e far ridere il prossimo: quel poco che fa
pensare di essere persone divertenti. D'altra parte un autore
professionista non può aspettare che gli capitino intorno cose buffe
quindi deve creare ciò che non capita per caso. A questo punto, se
siete pagati per scrivere battute comiche, avete due alternative:
essere un genio o cercare di portare a casa uno stipendio. Ora, la
differenza principale tra genio e manovale è che il genio per fare
le cose usa tecniche che ha inventato lui (ispirazione), il manovale
si serve di tecniche che ha inventato il genio e le usa per cercare
di guadagnare quanto il genio (traspirazione). Una battuta tipo “sai
quanti rumeni i servono a cambiare una lampadina? Due, ma devono
presentarsi al lavoro” (non me ne vogliano i rumeni, i meridionali,
gli svizzeri, i carabinieri, ecc.) è stata probabilmente un colpo di
genio per chi l'ha inventata (e non saprei proprio dove pescare il
tipo in questione), ma una volta acquisita come soluzione generale,
diventa patrimonio di ogni operaio della comicità che può smontarla
e rimontarla come meglio crede, mantenendo intatto lo schema comico
di base:
“categoria di riferimento” +
“caratteristica peculiare della categoria di riferimento” +
“esagerazione” =
BATTUTA
Sai
quanti pensionati servono per cambiare una lampadina? Sei: uno
per cambiarla e cinque per rompergli i coglioni che ai loro
tempi si faceva in un altro modo
Sai
quanti interisti servono per cambiare una lampadina? Sei: uno
per cambiarla e cinque che lo fischiano
Sai
quante olgettine servono per cambiare una lampadina? Dipende
da quante ne trova la Minetti
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