DI
COSA VOGLIAMO PARLARE
Adesso
vi dico due o tre cose che a me fanno molto ridere: la gente, le
parole, le idee. Quando una persona usa una parola sbagliata per
esprimere le sue idee è il massimo. Ma non solo: possono anche
creare dei mondi strani e divertenti. Se, per esempio, un vostro
amico di ritorno da un viaggio vi dice: “Sono stato in Lamponia”,
come ve lo immaginate quel posto? Ovvio che la Lamponia non esiste
(esiste la Lapponia, piuttosto), ma se mai esistesse sarebbe
probabilmente un posto molto interessante, profumato e pieno di
frutti di bosco.
Dicevamo
le parole. Noi usiamo le parole. Come dice Gianni Rodari, le parole
sono come un sasso: lo prendo, lo tiro in uno stagno e sto a vedere
cosa succede. Ad esempio, se dico proprio SASSO che altre parole vi
vengono in mente? Oppure, immaginate non SASSO, ma S.A.S.S.O.
(ottimo, l’acronimo!) che frase vi ispira? Le parole sono come le
ciliegie: una tira l’altra e quando le metto in fila, qualche volta
mi accorgo che formano una frase strana, ogni tanto anche divertente.
Insomma, magari una parola da sola non fa ridere, ma ne bastano due
insieme che il gioco può cominciare. E con tre è anche meglio.
Faccio
un esempio. Si chiama “Prendi
due parole, trovane una terza che stia bene con tutte e due e mettile
insieme”.
Le due parole che ho scelto sono: influenza e autobus. Sugli autobus
c’è l’autista, la macchinetta per i biglietti e ci sono i
passeggeri. Passeggero mi piace. Mi dico: anche è l’influenza è
passeggera. Vuoi vedere che l’influenza va in giro con l’autobus?
A questo punto, rimetto insieme tutto e dico: l’influenza
non guida l’autobus, l’influenza è passeggera.
E mi viene da ridere. Chissà forse fa ridere anche voi. Non è mica
detto, però, perché ognuno ride a modo suo. E’ che basta provarci
con due parole a caso: ognuna scelga le sue, ma tutti quanti proviamo
a prendere FAGIOLO e TOMBOLA e vediamo cosa ne viene fuori…
Spesso
ridiamo perché diciamo una cosa e chi abbiamo di fronte ne capisce
un’altra. In questo senso ci sono delle parole che sono davvero
magiche: si chiamano “doppi
sensi”.
Anche qui facciamo degli esempi. In primo luogo ci sono parole che
hanno un doppio significato, senza cambiare niente:
SPESSO
STATO
CONTI
ARGENTINA
TORNI
Con
loro è facile giocare. Provate a inventare una frase divertente
usando queste parole. Provo a farvi un esempio con SPESSO.
Tizio
- Accidenti non trovo più il filo per cucire
Caio
- Ti serve spesso?
Tizio
– No, solo una volta ogni tanto
Questo
è un altro:
Tizio
– Poverino, ha perso una gamba
Caio
– E allora? Non potevano mica vincere tutte e due?
E
naturalmente la domanda più scottante: i conti tornano o no? E se
non tornano dove sono andati? Se non ne sappiamo niente, non sarà
colpa della pioggia argentina che cade sui tetti di Buenos Aires?
E
se dico esca
a un pesce che è appena entrato in acqua? Sì, perché in qualche
caso, basta cambiare un accento perché un invito a uscire diventi
una trappola per branzini. Mettere l’amo
a una canna
(che tra l’altro si può usare per pescare dando l’acqua ai
fiori) è una cosa che le orate apprezzano a San Valentino? Tra
l’altro, si , può pescare con un frutto o la pesca
è un frutto proibito quando si pesca? E ancora, Quanti sono i venti?
E le sette
note?
Sono più o meno di sette? Ci sono addirittura parole con tre
significati (indovina quale) e ce n’è una che arriva ad averne
cinque (per carità non voglio nemmeno iniziare a pensarci).
Altre
volte basta mettere un apostrofo per cambiare il significato di una
frase. Come
DOVERI
= DOV’ERI
Tizio
– Dov’eri ieri?
Caio
– Sì, già e diritti oggi
Vi
sentite in forma? Allora, provate a rispondere a questo indovinello:
“qual è il bacino che punge con l’apostrofo?“ Parola
tremendissima: tre significati e un apostrofo dispettoso.
Pensate
che ci sono combinazioni di parole e apostrofi che possono fare vero
caos nella testa di chi ascolta. I suoni che vi propongo sono SIGNORA
e SOFFRE. E vi dico subito che ci si possono fare 4 frasi diverse
usando le stesse lettere (un consiglio mettete insieme le due parole
usando il CHE)
Qualche
volta il confusionismo funziona anche coi modi di dire:
- VESTIRE DA CAPO A PIEDI (“Vesto da capo a piedi, perché il cavallo non me lo posso più permettere”….vediamo chi la capisce, questa)
- SULLA CARTA (“L’Inter è fortissima sulla carta. E’ quando gioca sull’erba che le cose vanno male”)
Si
può far ridere solo aggiungendo una lettera. Per dire, se la formula
dell’acqua è H2O, come sarà quella del latte (la risposta giusta
è: Vacca2O). O addirittura con dei concetti un po’ più
complicati. Ad esempio, se vi dico: “questa settimana si gira con
le targhe alterne”, vi viene in mente qualcosa? A me viene in mente
che non è giusto: perché chi ha la targa alterna può girare e chi
non ce l’ha no? Se i vecchi tengono i bambini sulle ginocchia, a
chi si gonfiano le rotule?
Insomma,
se uno conosce le parole, metà del lavoro è già fatto. Ma se è
così semplice, dov’è il trucco? Il trucco è elementare: bisogna
imparare a giocare con loro. Le parole sono animaletti molto
sensibili cui piace essere coccolate, pastrugnate, stiracchiate. Alla
Lapponia piace da matti diventare ogni tanto Lamponia, l’elefante
adora essere scambiato per un efelante, una casa può diventare una
cassa. Nel mondo della fantasia esistono bipenne, stemperini,
staccapanni, discompiti (cioè un compito che non bisogna fare a
casa, ma che a casa è necessario distruggere), microippopotami da
tenere nell’acquario e trimucche con sei corna. Esiste persino il
verbo scancellare. Solo che quando scancello, sulla lavagna ricompare
miracolosamente tutto quello che ho scritto il giorno prima. E se la
prof Carminati se ne accorge, sono guai seri……