Zena

@Tarasso per Kotiomkin

Genova si ferma. Genova è una città meravigliosa. Per noi che veniamo giù dalla pianura è una la prima finestra di vita vera, di diversità che non sia collina, montagna o palude. A Portobello, un pazzarello voleva tagliare in due il Turchino per liberare la Pianura Padana dalla nebbia. Lo fermarono, e per fortuna, perché ci avrebbe tolto la magia dei Giovi, l’improvviso squarcio di luce che si apre dopo il buio dell’Appennino. C’è, sull’Appenino Ligure, di posti che sono tristi anche solo a pensarci; buchi di culo da cui il sole passa, dice: “Ma io qui non c’ero già stato ieri?”, e se ne va. Li attraversi e spunti dal foro della Campora, l'ultima galleria appenninica, in un luogo diverso: curve dal raggio instabile che, dapprima, danno sull’orizzonte e poi pian piano degradano nella periferia acida di una città di mare che inizia molto lontano dal mare. Genova corre per qualche chilometro attorno al suo porto, frustata dai suoi tre torrenti: Bisagno, Polcevera e Ferreggiano. Raramente si guarda alle spalle, al suo Oltregiogo: il suo denaro, la sua felicità sono nei sentieri di mare. Un mio amico genovese dice che i liguri non sono tirchi, sono solo pigri. Non sono ospitali, solo perché l’ospitalità costa fatica e si sa che il milanese padano non può comunque vivere solo di asma e nebbia. Questo è il poco che so della Superba. Genova che si ferma è comunque una città meravigliosa. E oggi tutti, anche quelli che l’hanno sempre vista solo da terra, tutti sapranno quanto può mancare alla maestosa Lanterna il profilo di una piccola torre.

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